CLASSIFICHE
Qualche giorno fa, nella cronaca di Milano del Corriere della Sera del 17 agosto, è stata pubblicata la classifica annuale delle migliori università al mondo secondo una ricerca dell’università di Shangai. I primi dieci atenei sono, nell’ordine, Harvard, Stanford, Cambridge, M.I.T., Berkeley, Princeton, Oxford, Columbia, C.I.T., Chicago. La Statale di Milano, prima delle italiane, è nella fascia fra il 151° e 200° posto. Il Politecnico di Milano, la Sapienza di Roma, Napoli, Pisa, Torino e Padova si trovano nella fascia da 201 a 300. Da 301 a 400 figurano Firenze e Pavia, mentre San Raffele, Bicocca, Palermo e Parma si collocano nell’intervallo da 401 a 500.
Il bisogno di avere un confronto quantitativo fra nazioni o istituti che erogano servizi di formazione- istruzione è sempre più sentito, basti pensare all’eco che hanno sulla stampa l’indagine OCSE-PISA, sui sistemi scolastici, o le comparazioni della Fondazione Agnelli, sulle suole superiori, o le prove INVALSI. Ma, al di là dei titoli ad effetto, è opportuno fare qualche riflessione per guardare in modo un po’ più disincantato risultati che hanno un valore molto meno perentorio di quanto si potrebbe superficialmente pensare.
Intanto classifiche stilate da enti diversi non danno risultati univoci: per il QS World University Ranking la prima università al mondo è il MIT, Il Massachussetts Institute of Technology, che è “soltanto” terzo nella gerarchia proposta dall’università cinese. Ma non è questo il problema: sorgono riserve più profonde sullo stesso valore scientifico di lavori di questo tipo.
Un’indagine statistica è tanto più attendibile quanto più è ristretta la materia sottoposta a esame. Supponiamo di voler stabilire qual è l’automobile migliore in circolazione. Per far questo decidiamo, logicamente, di prendere in considerazione alcuni parametri: costo, consumi, potenza, cilindrata, ampiezza del bagagliaio, resistenza dei materiali, accessori per la sicurezza… Ma come si fa a stilare una graduatoria complessiva? Si devono attribuire dei “pesi” alle singole voci esaminate; ma come stabilire il valore dei pesi? I pesi si stabiliscono in funzione delle esigenze di un certo gruppo di popolazione. È molto più serio e più utile, quindi, porsi dei quesiti del tipo “in una certa fascia di prezzo, qual è l’automobile che ha il bagagliaio più ampio, oppure che consuma meno, oppure che ha la ripresa migliore”.
Ancora più insidie si nascondono nella statistica applicata al campo didattico: il prodotto dell’apprendimento è fortemente condizionato dall’ambiente, dalle condizioni iniziali e dalle attitudini personali; gli effetti dell’insegnamento non sono immediati e possono richiedere tempi lunghi per essere rilevabili, l’eccellenza della ricerca scientifica non sempre corrisponde a un’eccellenza nella didattica e, infine, il valore del ranking è tutt’altro che platonico, essendo in grado di condizionare la scelta degli utenti e degli stakeholder, per cui molti operatori vedano la posizione in classifica come un fine e non come un semplice indice di qualità.
Un’ultima considerazione sull’utilità. Sapere che Cambridge è più forte di Oxford, qualunque sia il senso che si voglia dare a questa affermazione, è, per il 99,99% della popolazione, utile come sapere che su Giove fa più caldo che su Saturno, senza nulla togliere al valore intrinsecamente culturale di qualunque forma di conoscenza. A questo proposito però, va detto per completezza, il CENSIS con Repubblica pubblicano uno studio (www.censis.it/17?shadow_pubblicazione=120579) molto più utile limitato solo alle università italiane divise per fasce di numero di iscritti.
En passant, sarebbe interessante capire perché mentre ci viene facile accettare l’dea che è impossibile stabilire qual è la migliore macchina al mondo, siamo disposti a credere che si possa determinare qual è il migliore ateneo del pianeta, o il primo liceo d’Italia, o il paese più bravo nelle materie scientifiche… Questo sì potrebbe essere un bel tema per una ricerca.
Sebastiano Nicosia